Background

Mi chiamo Daniela, insegno danza orientale a Roma (Ostia e dintorni) e quando ballo sono felice. L’ho scoperto da bambina, con la danza classica. Ne ho avuto conferma continuando il mio percorso con la danza moderna e, poi, con la danza acrobatica, i balli di coppia e altro ancora, finché, nel 1999, ho scoperto la mia vera “vocazione”, raggiungendo il mio approdo finale: la danza orientale. Il suo ritmo, i costumi e i veli ricchi e leggeri, le grandi ali di Iside, i cimbali, la spada, il bastone e il candelabro sono i più riconoscibili elementi di una tradizione ricca di sfumature. Essa offre anche spunti per nuove invenzioni coreografiche, ad esempio attraverso la contaminazione con il contemporaneo (si pensi al tribal fusion o ai veil poi). Non c’è confine per l’immaginazione, pur di coniugare la femminilità con l’eleganza.

Dal 2004 insegno danza orientale a Roma, per lo più a Ostia, ( ma anche ad Acilia, Dragona, Eur e Laurentina) e a Fiumicino. E’ una gioia accompagnare le donne di ogni età nella scoperta del proprio potenziale espressivo nell’arte della danza. Ogni persona ha questo potenziale e, se vuole mettersi in gioco, è davvero bello costruire qualcosa insieme, nella comunità della classe che è un luogo dove spesso si formano anche belle amicizie. L’esito di questo gioioso impegno corale è il saggio (non obbligatorio) di fine anno, una festa per celebrare il colore in movimento, il corpo tra le note, la nostra passione comune. Stordendo di stupore, con grazia e leggerezza, i nostri affetti.

Danza orientale a Roma, Ostia e dintorni

In questa pagina sul mio background -l’insieme di esperienze, conoscenze e passioni che influenzano la mia visione della danza orientale- voglio dedicare un po’ di spazio ad aforismi e brevi pensieri su tre temi fondamentali del mio vissuto emozionale:

  • la danza;
  • l’Oriente (l’immaginario su) ;
  • Roma.

La danza

Dio ti rispetta quando lavori ma ti ama quando danzi.
(Massima Sufi)

Sono nata in riva al mare. La prima idea del movimento e della danza mi è venuta di sicuro dal ritmo delle onde.
(Isadora Duncan)

Colui che danza cammina sull’acqua e dentro una fiamma.
(Garcia Lorca)

Imparare a camminare ti rende libero. Imparare a danzare ti dà la libertà più grande di tutte: esprimere con tutto il tuo essere la persona che sei.
(Melissa Hayden)

Sei stato selvaggio, un tempo. Non lasciarti addomesticare.
(Isadora Duncan)

La danza comincia ove la parola si arresta.
(Alexandre Tairoff)

La danza è la creazione di una scultura che è visibile solo per un momento.
(Erol Ozan)

La danza è una gabbia dove si impara a volare
(Claude de Nougaro)

Le nostre braccia hanno origine dalla schiena perché un tempo erano ali.
(Martha Graham)

Ballare è come sognare con i tuoi piedi.
(Anonimo)

Dovremmo considerare persi i giorni in cui non abbiamo ballato almeno una volta.
(Friedrich Nietzsche)

Quando balli, non sudi; risplendi.
(Anonimo)

La danza è la madre di tutte le arti. La musica e la poesia esistono nel tempo; la pittura e l’architettura nello spazio. Ma la danza vive contemporaneamente nel tempo e nello spazio. Prima di affidare le sue emozioni alla pietra, al suono, l’uomo si serve del suo corpo per organizzare lo spazio e ritmare il tempo.
(Curt Sachs)

La poesia sta alla prosa come la danza sta al camminare.
(John Wain)

Nulla è così necessario agli uomini come il ballo… Senza il ballo, un uomo non saprebbe far nulla… Quando un uomo ha commesso uno sbaglio nella propria condotta, sia negli affari di famiglia, sia nel governo di uno stato, sia nel comando di un esercito, non si dice sempre: “Il tale ha fatto un passo falso in un certo affare”? E fare un passo falso, da cosa deriva se non dall’ignoranza del ballo?
(Molière)

Quando non puoi danzare tu, fai danzare la tua anima.
(Delbrel)

L’Oriente (l’immaginario su)

Egittomania e orientalismo

“Frutto dell’enciclopedismo, l’attrazione per le culture esotiche si sviluppa nell’Ottocento di pari passo con la diffusione dei viaggi nei Paesi del Nord Africa, nell’Impero turco e nel Medio Oriente. Sollevato il velo di mistero creato dalla scarsa consuetudine a visitare queste terre, all’immaginario occidentale si spalanca un nuovo territorio, inesplorato e affascinante.

La riscoperta dell’Egitto

Fin dal Rinascimento i cultori dell’ermetismo propongono agli artisti un repertorio di forme figurative in alternativa ai modelli classici, come piramidi, sfingi, obelischi, palme, serpenti e geroglifici. Ma solo dalla fine del Settecento il culto della civiltà egizia diventa un fenomeno di massa e di costume. Le nuove scoperte archeologiche e le campagne napoleoniche rendono più accessibili sculture egiziane, oggetti d’arte, arredi e costumi.

Aggregato alla spedizione militare, Dominique-Vivant Denon raccoglie una mole enorme di materiali, riuniti poi negli splendidi volumi della Description de l’Egypte, accompagnata da 900 tavole incise. La pubblicazione dei 26 volumi si conclude nel 1828, in piena Restaurazione, e in quell’occasione l’ebanista Charles Morel allestisce un fantasioso contenitore in stile egizio per la monumentale impresa editoriale.

In Italia un notevole impulso al revival egiziano è stimolato da Giovanni Battista Piranesi che nel 1769 pubblica le Diverse maniere d’adornare i cammini, ricche di esempi di decorazione “all’egizia”, e un anno dopo arreda in quello stile il Caffè degli Inglesi in Piazza di Spagna. A distanza di poco tempo, Anton Raphael Mengs allestisce in Vaticano la sala dei Papiri (1772-1776), e statue egiziane vengono collocate nella Villa Borghese, al Pincio e in una sala affrescata da Tommaso Conca e da Giovan Battista Marchetti con temi affini agli oggetti esposti: la caccia al coccodrillo nel Nilo, i colossi di Memnon, il culto di Iside a Roma.

Negli stessi anni la regina Maria Antonietta introduce in Francia il gusto neoegizio nell’arredamento dei palazzi reali di Versailles, di Saint-Cloud e di Fontainebleau.

Mentre è in età napoleonica che i geniali arredatori Léonard Fontaine e Charles Percier disegnano interni e mobili ispirati allo stile egizio e i molti oggetti trafugati nel corso delle campagne militari vengono sistemati in una nuova sezione del Louvre, all’uopo allestita, dedicata alla civiltà egiziana e subito salutata dal successo del pubblico.

La diffusione dell’orientalismo

Già nel Settecento, oltre alla riscoperta dell’Egitto, in Europa c’è attenzione e fascino per il mondo orientale. All’esposizione della Royal Academy del 1850 nella sala dei preraffaelliti, a fianco dei dipinti di Millais e Hunt, viene esposto un acquerello di John Frederic Lewis (1805-1876) che mostra l’interno di un harem con dovizia di dettagli e profusione di colori. L’opera documenta l’aspetto più mondano e piccante dell’attrazione ottocentesca per le scene di vita orientale e, a ragione, ha affermato Edward Said, che questo Oriente viene “creato dall’Occidente a sua immagine e, ancor più, a suo comodo”. Le delizie dell’harem, la pittoresca animazione dei bazar, i vicoli stretti e affollati delle città moresche, i rutilanti mosaici delle moschee, e ancora i riti efferati della giustizia musulmana, le carovane di cammellieri accampati fra le dune e la libera compravendita di giovani schiave discinte sono i soggetti prediletti di una pittura “pittoresca”, animata da beduini, dervisci, mercanti di tappeti, eunuchi, odalische, muezzin, acquaioli, danzatrici velate, venditori ambulanti e fumatori di narghilè.

La diffusione di un orientalismo fantastico, e nella maggior parte dei casi posticcio, coincide – non a caso – con l’espansione coloniale delle grandi potenze europee che si spartiscono i territori inesplorati dell’Africa e l’Asia più lontana e inaccessibile. Stimolata dalle campagne napoleoniche di fine secolo in Egitto, l’attrazione e la curiosità per queste terre poco conosciute produce un primo flusso turistico verso Paesi pieni di fascino, ricchi di memorie antiche e di monumenti pittoreschi. L’inaugurazione del canale di Suez (1869) permette inoltre un traffico più veloce e più intenso tra il Mediterraneo e l’Africa, e già nel 1868 Thomas Cook con una visita organizzata alle piramidi d’Egitto pone le basi del turismo di massa, del viaggio programmato da un’agenzia specializzata e guidato da un professionista.

Nella prima metà del secolo la pittura orientalista ha un’impronta più romantica e viene praticata da pittori che non sono mai stati in Oriente, come Gros, Bonington, Ingres. Lo stesso Delacroix affronta a suo modo soggetti orientali, prima di intraprendere un viaggio in Algeria e in Marocco, dopo lo scacco seguito alla presentazione di La libertà guida il popolo di Parigi (1830). Il massacro di Scio (1823-1824) e La Grecia spirante sulle rovine di Missolungi (1826) sono ispirate dalle guerre d’indipendenza della Grecia che cerca di scuotere il giogo della dominazione turca, mentre La morte di Sardanapalo (1827) è un capolavoro di sfrenata fantasia romantica, prototipo di un orientalismo onirico e visionario.

L’evoluzione del gusto orientalista

Con l’affermazione del realismo e con i sempre più frequenti viaggi in Oriente dei pittori europei, gli orientalisti tendono ad accentuare il realismo delle scene rappresentate, anche perché fanno sempre più spesso uso di immagini fotografiche.

Tra i pittori francesi, che sono i più numerosi e attivi, vi sono Gabriel Décamps, Eugène Fromentin, Jean-Léon Gérôme, Horace Vernet, Théodore Chassériau, Antoine Marilhat, Charles Gleyre, ma aderiscono a questo gusto orientalista anche gli inglesi Lewis, Hunt, David Robert, Frederick Goodall, i tedeschi Rudolf Ernst, Ludwig Deutsch, Gustave Bauerfeind, Leopold Müller, e gli italiani Alberto Pasini, Filippo Baratti e Stefano Ussi. A fine secolo i progressi del turismo e della fotografia, ormai disponibile anche a colori, rendono più vicini e familiari scenari circondati da un alone di mistero e di torbida sensualità.

L’Oriente “similvero” dei pittori dell’Ottocento oggi non esiste più e forse per questo torniamo a guardare con rinnovato interesse e simpatia un genere di pittura troppo presto relegato nell’interno del kitsch ottocentesco, insieme allo storicismo pompier e alle scene di genere dolciastre ed edificanti.

L’harem di John Frederick Lewis, del 1850 ca., conservato al Victoria and Albert Museum di Londra, è un tipico prodotto del gusto esotico dell’epoca. Il pittore vive per tredici anni al Cairo, dove riceve la visita del romanziere William Thackeray, suo grande amico e ammiratore, che scrive un pittoresco resoconto della visita. Lewis abita in “una casa enorme, eccentrica, con molte finestre e molte verande” tutt’intorno a un grande salone di rappresentanza dalle volte arabescate; ridondante di divani, tappeti, getti d’acqua, l’appartamento sembra a Thackeray “più riccamente arredato dei vicini palazzi degli sceicchi arabi”.

Circondato di servitori addetti al narghilè, sdraiato su un’ottomana, Lewis riceve gli ospiti vestito con un costume musulmano blu scuro, ricoperto da una giacchetta trapunta d’oro e con una scimitarra di Damasco appoggiata sulle gambe: “qui vive come un languido mangiatore di loto una vita trasognata, vaga, indolente e tabaccosa”, annota un divertito Thackeray. Alla luce di queste indicazioni l’interno dell’harem trascritto nell’acquerello sembra una trasposizione metaforica del soggiorno egiziano di Lewis che si permette gli agi, i piaceri, le mollezze e l’indolenza di questo bey, circondato dalle mogli predilette, le “favorite”.

Il più prolifico orientalista francese è Jean-Léon Gérôme. Il dipinto dal titolo Mercato di schiavi non è datato, ma è senz’altro dipinto dopo il 1856, anno in cui il pittore trascorre in Egitto otto mesi che nutrono per mezzo secolo la sua fantasia orientalista. Il Mercato di schiavi è un esempio della maliziosa frequenza nell’esibizione di nudità femminili e maschili di una pittura che non corre il rischio di suscitare la riprovazione dei benpensanti o la severità dei censori – a sua discolpa l’artista può vantare una superiore conoscenza dell’anatomia umana – in cui esotismo ed erotismo finiscono per coincidere.

L’esotismo di Antoine Lecomte de Noüy è la dimostrazione di come pittura accademica e arte d’avanguardia possano camminare su strade parallele senza mai incontrarsi. Coetaneo degli impressionisti, nel 1861 è allievo della scuola di Gleyre a fianco di Monet, Sisley e Renoir. Stessa base di partenza, dunque, ma con percorsi divergenti nelle intenzioni e nei risultati. Gli impressionisti si volgono allo studio della natura e al rinnovamento delle tecniche di riproduzione del visibile, mentre Lecomte de Noüy dipinge soggetti orientali, ritratti di reali e di aristocratici, affresca cappelle in stile neogotico o neorinascimentale. Così La schiava bianca(1888), ora al Museo di Nantes, è contemporanea alla pungente esplorazione della vita mondana di Parigi effettuata da Toulouse-Lautrec con un ben dosato impasto di affettuosa partecipazione e di ironico distacco. Anche Lecomte de Noüy cerca l’ispirazione nei caffè concerto e nelle case di piacere frequentate e dipinte da Toulouse-Lautrec, ma egli traspone tutto in chiave esotica: nonostante il processo d’idealizzazione, l’angolo di harem rimane il salottino turchesco di un lupanare parigino di lusso. La pittura di vita moderna con Toulouse-Lautrec ha invece il coraggio di affrontare gli aspetti più sordidi della contemporaneità e di riscattarli dal ghetto della pornografia, in cui vuole confinarli l’ipocrita moralismo dell’etica ottocentesca che sublima le pulsioni trasgressive trasfigurandole in una chiave esotica, fantastica o fiabesca.”

(fonte: EM Publishers Srl)

Roma

Come se fossi appena giunto a Roma,
e trovassi una immensa città sotto la pioggia,
con quartieri sconosciuti e inconoscibili,
di cui si sanno leggende
(Pier Paolo Pasolini)

Ora rivede Roma, la città della storia visibile, dove il passato di un intero emisfero sembra avanzare in funerea processione con strane immagini ancestrali e trofei ammassati da antiche terre.
(George Eliot)

E’ insensato andare a Roma se non si possiede la convinzione di tornare a Roma.
(GK Chesterton)

Solo a Roma ci si può preparare a comprendere Roma.
(Goethe)

Roma, città fortunata, invincibile e eterna.
(Tito Livio)

Mi sembra di raggiungere le altezze dell’arte. E di respirare l’aria respirata dai maestri e di vedere il mondo con i loro occhi.
(Edgar Lee Masters, durante il suo soggiorno a Roma)

Mi piacciono di Roma gli angoli nascosti. Se mai avrò l’occasione di scrivere un libro su “I segreti di Roma”, vorrei raccontarne angoli che pochi conoscono, storie strepitose, leggendarie, legate a certi vicoli o a certe case, figure dirompenti e dimenticate, le avventure della Roma fascista, certi angoli dei Prati o dei Parioli, anche però certi aspetti misteriosi, quasi sempre ignorati, dei grandi monumenti.
(Corrado Augias)

Fontana di Trevi. Tra dettagli da scoprire, baciare e riscoprire, timidi tagli di luce e schizzi di meraviglia, è un po’ come rinascere ogni volta che ti guardo.
(vinkweb, Twitter)

La periferia di Roma è un set cinematografico naturale. Ho imparato ad apprezzarla sin da piccolo, quando vedevo i film di Pasolini come Accattone e Mamma Roma, prima ancora di girarci come attore. Ho capito che quelle realtà sono il cuore pulsante della città, non luoghi da tenere ai margini.
(Pierfrancesco Favino)

Nanni MORETTI (voce fuoricampo): Anche quando vado nelle altre città l’unica cosa che mi piace fare è guardare le case. Che bello sarebbe un film fatto solo di case, panoramiche su case. Garbatella, 1927. Villaggio Olimpico, 1960. Tufello, 1960. Vigne Nuove, 1987. Monteverde, 1939.
(Dal film Caro Diario)

Roma nostra vedrai. La vedrai da’ suoi colli:
dal Quirinale fulgido al Gianicolo,
da l’Aventino al Pincio più fulgida ancor ne l’estremo
vespero, miracol sommo, irraggiare i cieli…
Nulla è più grande e sacro. Ha in sé la luce d’un astro.
Non i suoi cieli irraggia solo, ma il mondo, Roma.
(Gabriele D’Annunzio)

Roma può darti tante e tali donne
che puoi ben dire: «Ciò ch’è bello al mondo
è tutto qui».
(Publio Ovidio Nasone)

Parigi ha l’eleganza delle armonie e della grandeur, Londra ha l’eleganza della classe e del prestigio, Roma ha l’eleganza dell’umanità e della storia
(Gianfranco Ferrè)

Roma ha questo di buono, che non giudica, assolve.
(Ennio Flaiano)

Roma è uno spettacolo che non ha bisogno di intervalli.
(Fausto Gianfranceschi)

Roma è la capitale della storia, della cultura, della religione; Roma è l’Italia.
(Uto Ughi)

Nominate Roma; è la pietra di paragone che scernerà l’ottone dall’oro. Roma è la lupa che ci nutre delle sue mammelle; e chi non bevve di quel latte, non se ne intende.
(Ippolito Nievo)

Oh Roma! mia patria! città dell’anima!
(George Gordon Byron)

Nei pressi dell’arco di Settimio Severo esiste ancora una base circolare che contrassegnava e sosteneva l’umbilicus Urbis, l’ombelico della città, cioè del mondo.”
(Corrado Augias)

Roma, una frazione di eternità.
(Fausto Gianfranceschi)

Quest’è l’unico luogo della terra che dia materia maggiore a conoscere i legami che uniscono il vecchio mondo al mondo attuale; quest’è l’unico luogo, dove si possono più ampiamente meditare, e con profitto più grande, gli esemplari della bellezza nelle arti, e trarne quanto guadagno da esse è possibile alle speculazioni della filosofia.
(Giuseppe Bianchetti)

Quando si considera un’esistenza come quella di Roma, vecchia di oltre duemila anni e più, e si pensa che è pur sempre lo stesso suolo, lo stesso colle, sovente perfino le stesse colonne e mura, e si scorgono nel popolo tracce dell’antico carattere, ci si sente compenetrati dei grandi decreti del destino.
(Goethe)

Tuttavia Roma è la mia città. Talvolta posso odiarla, soprattutto da quando è diventata l’enorme garage del ceto medio d’Italia. Ma Roma è inconoscibile, si rivela col tempo e non del tutto. Ha un’estrema riserva di mistero e ancora qualche oasi.
(Ennio Flaiano)

Siamo romani. Siamo italiani. Essere nati e vivere in Italia è un dono: a Roma, è un privilegio.
(Carlo Azeglio Ciampi)

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Le tre passioni per la danza, l’Oriente e Roma trovano un punto di sintesi nella scelta di insegnare danza orientale a Roma (Ostia e dintorni)